La tentazione di leggere nei roghi di Londra le vampe che incendiavano Brixton negli anni 80 avanza, eterna scorciatoia per chiudere occhi, orecchie, bocca di una scimmia insensibile all’evidenza. L’Inghilterra brucia, ma fortunatamente non sulla scorta di un rigurgito razziale, non solo. Si lasci stare il modello multiculturale che ha meriti non solo pecche, si eviti il discettare sull’assimilazione alla francese. I lampi di violenza qualche anno fa incendiarono la banlieue di Parigi. Oggi tocca ai borough della Grande Londra. Fra allora e oggi è cambiato quasi tutto.
Il boom del 2005 che illuminava la Francia ha lasciato il posto alla depressione britannica del dopo credit crunch. Solo la violenza resta uguale. Fatta di contrapposizione con la polizia, di pulsione cieca alla distruzione, di attacchi ai negozi, eterne vetrine del contrasto fra chi può e chi non può, fra chi ha e chi non ha. Assalto ai forni? Espropri proletari? Londra mette in scena più i secondi dei primi, carichi di valenze sociali, ma depurati di ogni maschera politico-ideologica. Così come non si può evocare il parallelo con la rivolta di Brixton contro una polizia dall’approccio, all’epoca, pesantissimo, verso l’immigrato di colore, ugualmente non si può liquidare quanto accade ora con le parole di Cameron fermo all’evidenza lessicale. Che ci siano vandalismi, furti, rapine, atti criminali è ovvio.
Schierare migliaia di agenti in un gesto necessario di repressione è indispensabile. Ma, come fu per Brixton e per Parigi, quanto accade ora merita altre risposte. Londra ha dimostrato di saper risolvere i fenomeni complessi non ultimo lo strisciante razzismo nella Met Police d’altri tempi. La chiave, in questo caso, passa per una via stretta e perigliosa, eternamente fallita. Le immagini di giovani incappucciati che spargono terrore fra noia e disperazione costringe a ripensare all’educazione, intesa come pubblica istruzione. Nessun Governo, negli ultimi trent’anni, l’ha posta davvero al centro della propria agenda consentendo così il progressivo degrado, o il mancato riscatto, dell’istruzione statale che in Gran Bretagna è in grave deficit. L’accesso all’università è scandito dal passaggio attraverso costose scuole superiori private, inavvicinabili ai meno abbienti. Ultimamente – con Cameron, ma anche prima di lui – è stata posta maggiore enfasi, ma poco è stato fatto per recuperare i diseredati, a maggioranza di colore. Giovani senza un futuro non solo perché senza un lavoro ma perché estranei a qualsiasi cultura del lavoro, figli come sono spesso di famiglie che da un paio di generazioni vivono di sussidi. Sovvenzionare la disperazione sociale oggi, nel mondo, non è più possibile come un tempo e se i tagli comportano, come è accaduto in alcuni borough, la sospensione di due terzi dei programmi sociali per i giovani si dà un incentivo in più a scagliare la prima molotov.
Le sforbiciate alla spesa sociale, in taluni casi, sono inevitabili per riformare il meccanismo di assistenza ai disoccupati tanto generoso da convincere molti inglesi a stare lontani dal lavoro per evitare una riduzione del reddito. In Gran Bretagna, è vero, sta arrivando tutto insieme e tutto in fretta con l’accavallarsi dei “risparmi” imposti dall’amministrazione centrale e da quella locale. Una stretta pari al 10% del Pil in quattro anni ha la potenza di una morsa, capace come potrebbe essere di divaricare ulteriormente il fossato tra “have” e “have not”, abbagliante nella Londra dei petrodollari, dei petrorubli e ora del denaro facile made in China.
I contrasti di una metropoli occidentale che declina in sé dinamiche cicliche e anticicliche, opulenza e povertà, nello spazio di qualche miglio, sono benzina per ordigni incendiari. Soprattutto se maneggiati da giovanissimi consapevoli di aver avuto un doloroso passato, di vivere un disperante presente e di non avere alcun futuro. Ad accendere la miccia è sempre la negazione della speranza, da Tottenham a Ealing. L’educazione nella forma più semplice di pubblica istruzione è una risposta, non l’unica, ma la più importante.
di Leonardo Maisano
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