«Insegnerò la medicina ai miei figli, ai figli del mio maestro e agli allievi legati dal Giuramento medico, ma a nessun altro».
Questo il messaggio contenuto nel testo del Giuramento, che la tradizione ha proditoriamente attribuito a Ippocrate.
La formazione medica, circoscritta al rapporto genitoriale maestro-allievo, si sarebbe poi arroccata dietro l’impenetrabilità della lingua, il ceto sociale, i privilegi, ritagliandosi un suo spazio esclusivo, attraverso il distacco da altri professionisti della salute, privi di curriculum formativo certificato.
Il medico laico, insignito del titolo di doctus atque peritus, dotato di claritas del sapere, lucidus habitus scientifico, splendor dottrinale, diventa, così, protagonista di una elitaria ascesa, confluendo, nelle sue espressioni socialmente superiori, nella noblesse de robe, la nuova nobiltà di toga.