Il ministro della Salute Ferruccio Fazio «è risultato positivo al test della tubercolosi, come del resto il 12% della popolazione italiana». Ad annunciarlo è stato oggi il direttore del dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di Sanità, Giovanni Rezza, durante la giornata studio «Tbc a Roma: che fare?», organizzato dal Codacons e da Articolo 32.
Rezza ha comunque precisato che Fazio «non si sta curando, non ne ha bisogno. Le persone positive – spiega – se hanno infezione latente, non sono a loro volta contagiose e non devono curarsi, a meno che in rari casi, sviluppino dei sintomi». Rezza ha rassicurato che l’Italia resta un paese a
bassa incidenza di tubercolosi. Tornando al caso Fazio, ha precisato: «Facendo il medico può essere stato facilmente contagiato nei reparti. Ma c’è un rischio, di essere contagiati a livello di comunità anche se nella stragrande maggioranza dei casi questo rischio non si traduce assolutamente in malattia»
Rezza ha poi aggiunto che «il ministero sta cercando di uniformare tutte le procedure di monitoraggio e di trattamento dei bambini risultati positivi, e sta procedendo per varare nuove linee guida che porteranno a controlli più stretti, soprattutto nei reparti di neonatologia. Questi sono reparti che raramente vengono colpiti, ma che ospitano i pazienti più fragili, che bisogna tutelare. È necessario – ha concluso – rivedere alcune normative ed aumentare i protocolli di sorveglianza per tutelare maggiormente i pazienti, soprattutto i neonati».
D’altra parte secondo il resposnabile Iss non c’è nessun allarme Tbc in Italia: «i dati, anche in riferimento agli altri Paesi europei, sono nella media, nonostante l’ampio afflusso di immigrati ad alto rischio Tbc» ha detto Rezza.
E a proposito del caso del Lazio Rezza ha detto che «il ministro si è impegnato affinchè la Regione fornisca gratuitamente le vitamine B, necessarie per evitare complicanze, ai bambini contagiati da Tbc e anche nel rivedere le informazioni contenute nel sito del ministero, rispondendo alle 29 domande giunte dai genitori dei bimbi, entro la prossima settimana».
«Bisogna ammettere – ha spiegato Rezza – che, soprattutto nei bambini, non esiste un test perfetto» per la rilevazione della Tbc. «Quindi la scelta è stata fatta sull’opzione migliore, il test quantiferon – lo stesso a cui si è sottoposto il ministro – ma delle discordanze fra i vari esami purtroppo ci possono essere e si sono verificate non solo nel nostro Paese, ma anche in altri. Il consiglio è di ripeterlo se è stato effettuato al di sotto del terzo mese di età, perché una volta arrivati a tre mesi bisogna fidarsi del risultato del test».
Quanto all’ipotesi di sottoporre a profilassi tutte le persone venute a contatto con l’infermiera del nido del Gemelli, che avrebbe infettato 122 bambini, Rezza afferma: «È una questione di scelte. Questa è una scelta che hanno fatto la struttura coinvolta e la Regione ed è stata quella – di fronte all’alternativa di non trattare nessuno sulla base del test cutaneo che è risultato negativo in tutti i casi, o di trattare tutti a prescindere dal risultato del test – di utilizzare un test molto sensibile. Il tutto in modo da trattare solo coloro che ne hanno bisogno, secondo il principio di precauzione, ma non allargare troppo il numero delle persone da sottoporre a profilassi per evitare l’evenienza di effetti collaterali».
«Nei bambini questi esami hanno una minore sensibilità rispetto all’adulto – ha aggiunto Fernando Aiuti, presidente della Commissione Politiche sanitarie di Roma Capitale – e i lavori scientifici sono pochi. I bambini che sono nati dal 1 luglio al 27 luglio e che hanno fatto il test dal 20 al 31 agosto dovrebbero rifarlo, perché come per l’Hiv c’è un periodo “finestra” necessario prima che l’infezione si possa rilevare».